L’Arte che attiva il territorio

Tratto da www.2000parole.com

L’arte che attiva il territorio

Il colore e la rigenerazione urbana

Molti le chiamano “piazze a pois”, tanti altri si sono chiesti se una mano di colore per terra possa cambiare il modo in cui si vive un quartiere. Stiamo parlando degli interventi di urbanistica tattica realizzati nell’ultimo anno dal comune di Milano all’interno del progetto “Piazze Aperte”. La formula è stata più o meno la stessa in tutti i luoghi: rimodulazione di traffico e parcheggi, con l’inserimento di panchine, fioriere, alberi, tavoli da ping pong e l’uso massiccio del colore. Gli interventi più grossi e vistosi sono stati quelli in Piazza Dergano, Piazza Angilberto, Porta Genova e Spoleto-Venini (NoLo), ma l’amministrazione ha intenzione di continuare: sono stati decisi gli interventi in altre quattro piazze e, tramite un avviso pubblico che scadeva il 20 novembre, il Comune ha raccolto nuove richieste di cittadini e associazioni di tutta la città. L’idea è infatti quella di dare priorità alla richieste del territorio e coinvolgere i cittadini nella realizzazione e gestione di questi interventi, pur essendo partiti da un piano più centralizzato. Il progetto di urbanistica tattica “Piazze Aperte” è infatti realizzato in collaborazione con Bloomberg Associates, una società no profit guidata dall’imprenditore ed ex sindaco di New York Michael Bloomberg e in cui operano ex commissione (assessori) dei mandati Bloomberg come Janette Sadik-Khan, già commissioner per i trasporti a New York e che sta aiutando Milano in questo progetto. Bloomberg Associates ha appena pubblicato una guida per incentivare le amministrazioni a “riappropriarsi degli spazi cittadini attraverso l’arte”, in particolare attraverso l’uso della vernice sull’asfalto, e supporta progetti di questo tipo in tutto il mondo con centinaia di milioni di dollari. Il concetto di fondo è che arte e cultura possano diventare i motori di innovazione e di attivazione della cittadinanza nei processi di rigenerazione urbani.

Tutto ciò viene fatto con interventi piuttosto snelli ed economici. “L’idea è trasformare un luogo da un giorno all’altro, senza interventi strutturali ma cambiando la maniera in cui lo si concepisce. Interventi leggeri, veloci ed economici, che si fondano sull’utilizzo della pittura a terra come elemento di cambiamento, anche visivo, e di un kit leggero di panchine, fioriere e altri elementi per allestire gli spazi e cambiarne i connotati,” ci spiega Demetrio Scopelliti, architetto e membro dello staff dell’assessore all’urbanistica che ha dato avvio al progetto “Piazze Aperte”. La volontà è trasformare spazi grigi e trafficati in luoghi d’incontro per gli abitanti, ma i cambiamenti non sono mai privi di polemiche. Nel caso dell’incrocio Spoleto-Venini era partita anche una raccolta firme, ma il Comune ha tirato dritto realizzando l’opera. “Ogni volta che si interviene sullo spazio pubblico si instaura un processo che non è mai banale e semplice, essendo lo spazio negoziale e conteso per eccellenza. In più, questi interventi sono sulla strada concependola come spazio pubblico e non solo funzionale per lo scorrimento dei veicoli,” spiega Scopelliti, che però sottolinea come anche i più contrari sono passati dall’opporsi in toto al cambiamento ad avanzare controproposte e migliorare il progetto iniziale.

Un aspetto fondamentale è infatti far capire come l’arte e il colore siano strumenti per il cambiamento e non il fine stesso dell’intervento. “Il colore va e la piazza resta,” scherza Scopelliti, commentando il fatto che usando vernice a base di acqua è naturale che dopo mesi il colore sbiadisca, ma sottolineando come nelle verifiche fatte sull’approvazione e l’utilizzo dei nuovi spazi l’amministrazione non possa che essere felice. L’arte, in “Piazza Aperte”, è solo un attivatore e l’elemento più vistoso di un cambiamento che si concretizza poi nel tempo. Secondo Scopelliti, “una cosa bella di questi progetti, soprattutto i primi che abbiamo realizzato, è l’effetto Wow che si crea nel vedere lo spazio cambiare totalmente e dove l’uso del colore sia quasi l’effetto principale del cambiamento, perché questo fattore dà visibilità a dei luoghi che altrimenti non ne avrebbero mai avuta.”

Piazza Aperte non è certamente il primo progetto che usa l’arte per progetti di rigenerazione urbana. L’artista Angelo Caruso, dagli anni ’80 e in varie forme, promuove progetti di arte pubblica coinvolgendo comunità locali, scuole e artisti internazionali. Oggi Caruso opera con l’associazione no-profit City Art, con qui quest’anno ha sviluppato il progetto Linea Rossa: una semina collettiva di papaveri rossi, fatta da cittadini, associazioni e studenti del territorio, nello spartitraffico di viale Monza fino a Sesto San Giovanni. L’istallazione vuole essere un segno effimero che rimanda alla sottostante linea rossa della metropolitana, ma anche un motore di aggregazione e attivazione di processi virtuosi nello sviluppo della qualità urbana. L’arte può anche stimolare ad un maggior dialogo o spingere a vedere con occhi diversi una determinata realtà. Caruso fa l’esempio di un progetto che ha realizzato a Turro nel 2006: “In un condominio si stavano sviluppando, a causa dell’arrivo di nuovi immigrati, delle tensioni. Io ho invitato 38 artisti che hanno fatto delle installazioni sul tema del contatto delle persone. L’evento, chiamato “Contact” durò quattro giorni e sconvolse la situazione del condominio: le persone tornarono a parlarsi,” racconta l’artista, che è ora al lavoro per il prossimo progetto. In via Monza opera l’associazione Pane Quotidiano, che ogni giorno distribuisce cibo a centinaia di bisognosi di Milano. L’arrivo di una grande massa di persone, che spesso oltre che mangiare si lava nella struttura, già in passato ha portato a tensioni nella zona. Per questo Caruso vuole usare l’arte per dare nuova luce e decoro, almeno visivamente, al luogo tramite opere artistiche sui cancelli e muri della struttura. Dopo trent’anni di situazionismo artistico e progetti sul territorio, Caruso è consapevole che Milano sia un’oasi felice in quanto a recettività di questi impulsi artistici: “L’idea di fondo deve attrarre, si parte da lì. Poi però c’è il coinvolgimento del territorio, che passa dalle associazioni, dai contatti personali, dagli incontri, dalla comunicazione social. Ci sono sempre persone che ti aiutano e a Milano su questo c’è terreno fertile, è pieno di associazioni attive sul territorio.”

A volte parlare di rigenerazione urbana è forse eccessivo, ma certamente opere artistiche possono avvicinare turisti a quartieri di solito non frequentati o rendere possibile, a chi lo abita, guardare con occhi diversi il proprio quartiere. È nato con questo scopo, nel dicembre 2017, MAUA, Museo di arte urbana aumentata. Senza una sede fisica e una biglietteria, MAUA è un museo diffuso, a cielo aperto, ed è il primo museo di arte urbana aumentata, nato dall’idea di proporre itinerari culturali inediti, fuori dal centro e dai più tradizionali circuiti dell’arte. Il concetto è semplice: inquadrando con il proprio smartphone un’opera di street art questa prende vita e grazie alla realtà aumentata si anima. La realizzazione è stata un po’ più complessa: sono state coinvolte centinaia di persone, dagli studenti che hanno mappato le opere sui muri della loro città nei workshop fotografici, fino ai creativi digitali e agli street artist che durante i workshop di animazione digitale hanno collaborato per creare nuovi livelli narrativi e di fruizione delle opere murarie. “Questa mappatura ha fatto emergere un valore, per quanto riguarda la creatività di artisti di periferia, in muri, vicoli ciechi, luoghi abbandonati e degradati che prima non era mai stata notato,” racconta Joris Jaccarino, uno dei soci fondatori di Bepart, la realtà no profit che ha realizzato MAUA. Oggi a Milano il museo diffuso comprende 50 opere murarie, rintracciabili in 5 zone (Giambellino-Lorenteggio, Adriano-Padova-Rizzoli, Corvetto-Chiaravalle-Porto di Mare, Niguarda-Bovisa e Qt8-Gallaratese). Ciascun murales prende vita davanti agli occhi del visitatore: basta inquadrarlo con l’app Bepart, scaricabile gratuitamente su smartphone e tablet dai play store per android e iOS, per vedere che ogni opera ne genera una nuova e si trasforma in un lavoro di digital art (l’app Bepart funziona anche sulle foto delle opere, scaricatela e provatela sulle immagini che trovate sotto). “Le persone possono girare per il proprio quartiere e guardarlo in modo diverso, accorgersi che ci sono cose belle e valide anche nel luogo in cui vivono – spiega Jaccarino – questo poi si rispecchia anche nei turisti, che trovano qualcosa di bello e interessante anche fuori dal centro.”